Quelle purezza di chiappa da putto ad incarnare un volto rosato di lonza con sfumature biancastre da mozzarella, ma in faccia e per sempre, a sigillare un’eterna condanna morfologica.
A perimetrare il volto, icona dell’ebetitudine, una barba mai nata e un leporino labbro spugnoso, porto sicuro di bave e liquami frutto di masticazioni ruminanti, gorgoglii di polente sgargarozzate e cinghiali spolpati e funghi trifolati e ingollati.
Intasi di feste padane incagliate in dentoni sempre ridenti.
“Pensare positivo” ripeti, o almeno positivo se proprio il pensare manca.
Ai margini del buco, chiamato bocca ma con prassi da sfiato, contratto come un bucio ma a volte, nelle occasioni ufficiali, spalancato come una fossa su sibili alieni, escono litanie di parole non assimilate e mai del tutto comprese:
“Padania libera!”
L’occhio annacquato e timido nell’ esplorazione di segni che sono per quasi tutti alfabeto, ma non per lui, che sforza il lacrimevole bulbo nella spremitura di acque craniche durante l’impossibile concentrazione su parole scritte e persino successive e sensate.
“Terun! “
Gridato come rutto liberatorio e fuga da pagine scolastiche nebbiose e zavorranti, periodi lunghi, accenti e virgole, confuse tra loro, a ritmare il tutto, il sentiero di misteriosi geroglifici e di potenze magiche.
“Terun”
Mentre le bolle intime risuonano in testa come alle terme, in un borbottio tellurico che trova nello sprofondo un fondale muto di presenza animale, fossile, pleistocenica: il pensiero suo.
“Lega di lota e di guverno”
Minacce smozzicate che galoppano quadrupedali in lontananze cavernose.
“Roma ladrona”
Ma dov’è di preciso? A nord o a sud?
In quelle stesse lontananze dove di solito è deposto per natura un encefalo e meningi, si apre a soffietto lo spazio delle branchie dove risuona l’eco barbarico, zoologico, irreversibile.
“Terun”
Caduto in disgrazia boccheggi ora a tentoni in un mondo di misteri e nozioni aliene, con gli ultimi guizzi da pinna adiposa e livrea argentea.
Alla ricerca di fondali ghiaiosi e dell’acqua acquitrinosa, nelle fanghiglie melmose e nel buio delle profondità, dove provare a rintanarsi, per vivere finalmente, in pace e in silenzio, da semplice trota.